“Domine quo vadis?” Richiamati alla fedeltà profetica.

quo vadis

“Richiamati alla fedeltà profetica” mi sembra una sottotitolo adeguato per la chiacchierata al fuoco di oggi. Chiamati alla fedeltà profetica, quella dell’annuncio, quella della denuncia. Un chiacchierata che nasce (almeno in parte) nel preparare con i ragazzi un momento di catechesi vissuto al campo di competenza qualche giorno fa.

 

“Domine, quo vadis?”

Il nostro punto di partenza è un po’ insolito: una lastra di marmo antica, un brano di un testo apocrifo che racconta una leggenda romana, ed una piccola chiesuola, dedicata a Santa Maria in Palmis, conosciuta meglio come quella del “Domine Quo Vadis?“, a poche centinaia di metri da Porta San Sebastiano, al bivio tra la via Appia e la Via Ardeatina. La lastra di marmo originale oggi è esposta nella Chiesa di San Sebastiano fuori le mura, nella chiesette del Quo Vadis c’è una copia. Leggenda vuole che le impronta siano quelle di Gesù … archeologicamente (a dire il vero) sono un ex-voto pagano offerte ad dio Redicolo per augurarsi un buon viaggio e buon rientro. Ciò nulla toglie, però, dal valore del racconto.

La storia probabilmente la conosciamo più o meno tutti, la fonte un po’ meno. Eccola qui:

Dagli Atti di Pietro (XXXV)

Mentre [Albino ed Agrippa] complottavano così, Santippe venne a conoscere l’incontro di suo marito con Agrippa e mandò qualcuno a comunicarlo a Pietro affinché si allontanasse da Roma. Ed anche gli altri fratelli, compreso Marcello, l’esortavano ad andarsene. Ma Pietro diceva loro: “Dobbiamo dunque fuggire, fratelli?”. Ma essi gli risposero: “No! Tu però puoi servire ancora il Signore”. E, obbedendo ai fratelli partì da solo, dicendo: “Nessuno di voi venga via con me! Cambierò il mio vestito e poi uscirò solo”. [2] Ma mentre attraversava la porta, vide il Signore che entrava in Roma e gli disse: “Signore, dove (vai) così?”. Il Signore gli rispose: “Entro in Roma per esservi crocifisso”. E Pietro a lui: “Signore, per essere nuovamente crocifisso?”. Rispose: “Sì, Pietro, sarò nuovamente crocifisso”. Pietro, entrato in se stesso, vide il Signore salire in cielo e se ne ritornò a Roma allegro e glorificando il Signore poiché egli stesso aveva detto: “Sarò crocifisso”. Ciò doveva dunque capitare a Pietro.

Racconto semplice, ma anche forte. Pietro aveva scelto di rimanere a Roma, nonostante il chiaro rischio, ma sia lascia convincere dalla comunità che lo incoraggia a partire: a loro serve molto più vivo che morto, può ancora servire il Signore … e non hanno tutti i torti. Uscendo da Roma, l’incontro con il Signore convince Pietro che si tratta di una tentazione: anche se con una buona motivazione, è la tentazione di fuggire, di non rimanere con i fratelli, nonostante il chiaro rischio.

Ri-chiamato, da Gesù alla fedeltà. Chiamato a rimane lì. A non fuggire, a non partire, a non rinnegare come aveva fatto una volta nel cortile del Sommo Sacerdote la notte della passione. Un rimanere fedele che avrà un costo. A Gesù, il non-fuggire al Getsemani l’ha portato verso la passione e morte … ma senza il compimento di tutto non ci sarebbe neanche la risurrezione. Per Pietro, il resto della storia lo sappiamo. Seconda antica tradizione, sia Pietro che Paolo muoiono nella persecuzione contro i cristiani in epoca di Nerone: Pietro crocefisso nel circo di Nerone sul colle Vaticano, e sepolto nel cimitero vicino dove sorge oggi la Basilica di San Pietro; Paolo decollato e poi sepolto sulla Via Ostiense.

Fin qui abbastanza semplice, ma anche lontano. Facile parlare di martiri lontani da noi nel tempo, se molto vicino nello spazio. Sentiamo parlare di martiri oggi, ma per noi, comunque, rimangono realtà spesso lontane … o forse no.

 

Chiamati alla martyria

Da cui nasce la domanda. Cosa significa essere martiri oggi? Perché la chiamata alla martyria è insita all’essere cristiani. Ma intendiamoci bene. Il martire non è tanto quello che muore per la propria fede (e sicuramente non colui che uccide in nome di Dio: quest’ultimo è un omicida, e blasfema il nome del Signore). Il martire vero è quello che vive per quello in cui crede. Perché il martire nella sua accezione originaria greca è il testimone. Testimoniare con il proprio vissuto, che in alcune circostanze significa anche mettere a rischio la propria vita rimanendo fedeli a ciò in cui crediamo. Perché ciò per cui vale la pena vivere, vale la pena anche spendere la propria vita, anche fino in fondo. Un fedeltà vissuta, una coerenza di vita, che è testimonianza profetica.

E di martiri dei tempi moderni ne abbiamo fin troppi, anche di quelli che hanno dato la vita per rimanere fedeli fino in fondo. A Roma, la basilica di San Bartolomeo all’Isola [link esterno] ne è un santuario contemporaneo. Ma non serve andare in terre lontane, o luoghi di guerra. I martiri si trovano vicino a casa. Alla base scout di Bracciano, proprio dove abbiamo vissuto il momento di catechesi che ho menzionato all’inizio, c’è un monumento semplice a don Peppino Diana, sacerdote, scout, parroco a Casal Del Principe, martire. Martire, ucciso dalla camorra che voleva farlo tacere, ucciso il 19 marzo 1994 mentre si preparava per celebrare la messa. Lui il parroco scomodo perché parlava (come testimonia in documento Per amore del mio popolo [link esterno]), perché denunciava il male, perché si rendeva conto che non si può celebrare la propria fede trasformandola in una religiosità vuota, vana, non accompagnata dal grido della giustizia. Un profeta dei tempi moderni, profeta di annuncio e denuncia: perché non si può annunciare il Vangelo senza denunciare al male.

Ma ognuno di noi pure, nella nostra quotidianità, è chiamato alla testimonianza, chiamato alla fedeltà alla vocazione profetica. Perché la scelta di fede, la scelta di servizio, e la scelta politica (nel senso più nobile del termine) non possono che andare mano in mano. A volte questa scelta è abbastanza facile, a volte questione di impegno. Ma le nostre scelte, guidate e illuminate dal vangelo, possono risultare molto impopolari, verità scomode. Basta pensare oggi al discorso di accoglienza, in particolare degli immigrati e profughi, all’attenzione verso le minoranze e la protezione dei diritti umani, al bisogno continuo di lavorare per una giustizia sociale, denunciando gli eccessi dei sistemi economici in cui viviamo, la denuncia della violenza.

Siamo anche noi chiamati alla martyria, alla testimonianza. Chiamati ad essere sale della terra e luce per il mondo … ma se il sale non da sapore, non serve a niente, tranne ad essere buttato via e pestato sotto i piedi (Matteo 5,13).

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