[first published as Facebook post on 21 August 2023]
Mi pesa e addolora sentire delle aggressioni accadute nei confronti di persone LGBTQ+
La GMG dovrebbe essere uno spazio per celebrare l’essere giovani cattolici. Inutile applaudire e condividere sui social le parole del Papa “todos, todos, todos!” quando poi la nostra pratica come Chiesa dice altro. Ipocriti!
La Chiesa, finora, anche nei giorni migliori, anche nei paesi più accoglienti (lasciamo stare quelli dove l’omofobia è normalizzate e legiferata), dice di accoglierci come persone LGBTQ+, perché Dio ci ama (e di questo sono radicalmente convinto, se non avrei perso la fede, e avrei lasciato la Chiesa da tempo) …
… ma poi, spesso anche nei migliori dei casi, la Chiesa ci dice — anche nel non detto, nel sussurrato — di stare all’ombra, in silenzio. Una mentalità vergognosa di “Don’t ask, don’t tell.” Di dover cercare di renderci invisibili, perché parla significa esporsi, con il rischio di farsi del male. E i giovani LGBTQ+ che hanno subito aggressioni ne sono la prova. (Sai, come i genitori di una volta che tenevano nascosti alcuni dei loro figli, perché se ne vergognavano.)
Più leggo questo, più un istinto di soppravvivenza, di omofobia interiorizzata, mi parla di “prudenza”, anche di paura … ma sento anche dentro di me, un bisogno radicale (“come un fuoco nelle mie ossa” Ger 20,7-9), che non mi lasci in pace se taccio. Perché non posso “camminare con gli esclusi” (scelta universale della Compagnia di Gesù), se non parlo anche di questa esclusione in prima persona.
E so che le mie parole metteranno alcuni a disagio. Ben venga, si vi mette a disagio ne avete bisogno. Perché scuotere la barca mette in discussione lo status quo. Ma quando lo status quo è ingiusto bisogna parlarne, se non continuerò ad esserne complice. Per questo la mia voce comincia ad essere più fortemente una di denuncia.
Perché del giudizio del mondo me ne frego altamente, ma nel giorno nel giudizio, ritti davanti al trono di Dio, Dio ci chiederà conto del bene e del male che facciamo agli altri, e sarà inutile dire “ah Signore, ma quando?” (Mt 25,.44-45.)
E chi di noi, ha più responsabilità — nella Chiesa e nel mondo — gli sarà chiesto come ha usato la propria posizione di privilegio.
It pains me to read about the aggression against LGBTQ+ persons at the WYD.
The WYD ought to be a space where to celebrate being Catholic youth. It is useless to applaud to the Pope’s words “todos, todos, todos!” and share them on social media, when our practice as Church says otherwise. Hypocrites!
The Church, so far, even on the best of days, and in the most welcoming countries (let’s no even mention those where homophobia is normalised and made into law) says that it welcomes us as LGBTQ+ persons, because God loves us (of this I’m profoundly convinced, otherwise I would have lost my faith, and left the Church a long while ago) …
… but then, even in the best of cases, the Church tells us — often in the unspoken, only whispered — to remain in the shadows, in silence. A shameful mentality of “don’t ask, don’t tell”. To do our best to make ourselves invisible, because speaking up means exposing oneself, and risk getting hurt. And these LGBTQ+ youth, who have experienced aggression are living proof. (You know, like parents of old who hid some of their children, out of shame).
The more I read on this, the more my survival instinct, my internalised homophobia, speaks to me of “prudence”, even fear … but I also feel within me a radical need (“like a fire burning in my bones” Jeremiah 20,7-9), which doesn’t leave me alone if I stay quiet. Because I cannot “Walk with the excluded” (a universal apostolic preference of the Society of Jesus), if I don’t speak of this exclusion in the first person.
I know my words will make some uncomfortable. Good if they do, in that case you need it. Rocking the boat means questioning the status quo. But when the status quo is profoundly unjust, then I need to speak out, or risk remaining an accomplice. This is why my voice is becoming increasingly one of denunciation.







