Qualche giorno fa, il 25 ottobre, la terza Assemblea Sinodale della CEI ha approvato il documento di sintesi del cammino sinodale, con il titolo Lievito di pace e di speranza (qui sul sito della CEI).
È un documento di ampio respiro, declinato in tre parti — (1) il rinnovamento sinodale e missionario della mentalità e delle prassi ecclesiali, (2) la formazione sinodale e missionaria dei battezzati, e (3) la corresponsabilità nella missione e nella guida della comunità. Prende in considerazione numerosissimi aspetti di vita che sono particolarmente attuali nel mondo di oggi: pace e non-violenza, giustizia, cura del creato, accoglienza, ambienti digitali, tra altro. E non è solo un documento di riflessioni, ma fa delle proposte concrete — ben 124!
Documento di ampio respiro, che mi porta speranza …
È un documento che merita una lettura attenta, aperta. E l’ho trovato anche un documento che veramente mi porta speranza. Ammetto pure, da buon maltese sono cresciuto in una Chiesa bella, abbastanza classica, tradizionale (non nel senso del tradizionalismo), ma a volte nostalgica, un po’ lenta da stare al passo con i tempi, non sempre capace di cogliere i segni dei tempi, e di discernere dove il Signore la invita ad essere lievito oggi. E la mia esperienza della Chiesa in Italia, anche se la realtà è ben più complessa ed articolata sul territorio nazionale, non è molto diversa. Spesso una Chiesa bella, impegnata, ma a volte chiusa su se stessa, guardandosi l’ombelico invece di guardare l’orizzonte, nostalgica del potere sociale che ha ampiamente perso.
Questo documento, in contrasto, mi parla di speranza, di guardare al futuro con spirito profetico. Ed è un documento dove, più leggo, più mi ci ritrovo. Quando — come AE per l’AGESCI Regione Lazio, ero bel coinvolto nel redigere il nostro piccolo contributo al sinodo (che trovate qui), non m’aspettavo tanto. Forse, perché troppo assuefatto, troppo abituato ai ritmi di una Chiesa che vive un po’ troppo sub specie aeternitatis.
Speranza anche per le persone LGBTQ+
Una dei luoghi dove il documento mi da tanta speranza è nel modo in cui parla del orientamento sessuale e dell’identità di genere.
Ed ecco, prima che qualche troll esca della caverne per dirmi che il documento parla di tanto altro: sì, il documento parla di tanto altro. Ma parla anche di questo. Ed oso dire che in questo, è nuovo, è fresco. È sempre interessante vedere dove un documento abbia qualcosa di nuovo e fresco da dire, perché spero che su tanto altro già vi è chiarezza nella Chiesa (ed il documento non servirebbe).
Poi, lingua batte dove il dente duole. Per esperienza personale e pastorale so quanto dolore c’è in tutto questo, quanta esclusione, quanto silenzio sofferto. E ne sono diventato ampiamente più conscio da quando non mi trattengo dal parlarne apertamente [vedi qui per tutti i post!]. Mi sono ritrovato — e ringrazio Dio per questo — ad aiutare ad accompagnare diversi nell’affrontare il loro cammino interiore, da affrontare il dolore, di affrontare anche la tossicità interiore frutto di omofobia subita (dalla società ed anche dalla Chiesa), e poi interiorizzata.
Quando ci si abitua, si tende a perdere la speranza, anche nella Chiesa. Perché sappiamo bene che la Chiesa è ben capace di dire “tutti tutti tutti” ma poi effettivamente aggiungere “ma non tu“!
Per questo sono profondamente sorpreso e consolato. Sì, guardando l’esito delle votazioni, se vede che questi numeri comunque erano quelli più dibattuti, ma anche quelli dove il voto era più diviso, ma comunque superava il 75%. Non per un discorso di numeri come se fosse un’elezione politica, ma perché parla di posizioni ampiamente condivise — anche se c’è ancora da lavorare. Spero che, un giorno, queste cose sarebbero così condivise da tutti (ma proprio tutti, tutti, tutti!) da non doverle neanche discutere.
Le proposte concrete
I punti che toccano in modo diretto l’orientamento sessuale e l’identità di genere, si trovano nella prima parte del documento (il rinnovamento sinodale e missionario della mentalità e delle prassi ecclesiali), nella sezione La cura delle relazioni.
“Tutti tutti tutti”
La sezione comincia proprio con il punto 30, intitolato “Tutti, tutti, tutti”. Il documento prima offre la sua lettura ampia sulle relazioni, offrendo le motivazione, la logica che poi va ad articolarsi nelle singole proposte.
[30] Essere segno del Regno di Dio implica relazioni autentiche e comunionali, che mostrino le differenze come ricchezza. La comunità ecclesiale vuole essere uno spazio nel quale ognuno può sentirsi compreso, accolto, accompagnato e incoraggiato, con una particolare attenzione a coloro che rimangono ai margini. Siamo coscienti che, per «passare dalla logica escludente del dentro/fuori ad una di implicazione e riconoscimento» (LAS 11), in alcuni casi e su alcuni temi occorre ancora un ulteriore approfondimento, confronto e discernimento comuni, per arrivare, con gradualità, a scelte condivise. Ma, al tempo stesso, non vogliamo rinunciare a tenere ben presente che «lo sguardo di fede rifugge le rigide categorie e domanda di accogliere le sfumature, comprese quelle che a occhio nudo non si vedono» (LAS 6), poiché i «discepoli sono in cammino verso una realtà che ha posto per tutti e tutte» (LAS 20).
In questo, mi piace sia l’onestà ma anche l’apertura del documento. Condivido ampiamenti che “in alcuni casi e su alcuni temi occorre ancora un ulteriore approfondimento, confronto e discernimento comuni, per arrivare, con gradualità, a scelte condivise.” Ma questa gradualità la si vive insieme, non escludendo e lasciando persone fuori. La Chiesa può maturare pensiero solo quando lo fa sinodalmente, se no la chiesa (volutamente con la C minuscola), diventa solo una camera dell’eco, chiusa su se stessa, nella stanza superiore chiusa per paura, e non aperta veramente allo Spirito. La Pentecoste irrompe sempre, è ci tira fuori da noi stessi.
Qui sottolineo, e commento, due proposte concrete che sono più immediatamente in questo tema.
[30c] che le Chiese locali, superando l’atteggiamento discriminatorio a volte diffuso negli ambienti ecclesiali e nella società, si impegnino a promuovere il riconoscimento e l’accompagnamento delle persone omoaffettive e transgender, così come dei loro genitori, che già appartengono alla comunità cristiana;
Questo sicuramente è in primo passo più importante. Gli atteggiamenti discriminatori sono ampiamente diffuse sia nella società che nella Chiesa. Basta vedere quanto si fatica a parlarne in modo aperto, nella Chiesa in generale, e tra il clero in particolare.
Trovo un po’ povera ed arcaica l’espressione omoaffettive. Mi sembra che abbiamo ancora paura di parlare di omosessuale perché fatichiamo ancora come Chiesa a parlare della sessualità in modo primariamente positivo. Poi, tra l’altro è spesso la stessa chiesa a ridurre la sessualità alla sua dimensione genitale.
Mi piace tanto quel “che già appartengono alla comunità cristiana“. Non serve andare fuori. Non serve cercare ad una distanza, spesso tra stereotipo. Ma serve aprire gli occhi e scoprire che probabilmente stiamo parlando di persone che ti stanno accanto, nella tua parrocchia, nella tua famiglia, nella tua comunità religiosa, nel tuo seminario, tra il clero della tua diocesi. Dove la discriminazione (e spesso violenza psicologica) li ha resi invisibili. Li ha obbligati al silenzio, al nascondersi per proteggersi, a chiudersi nell’armadio e buttare la chiave (che fa un danno profondo interiore).
[30d] che la CEI sostenga con la preghiera e la riflessione le “giornate” promosse dalla società civile per contrastare ogni forma di violenza e manifestare prossimità verso chi è ferito e discriminato (Giornate contro la violenza e discriminazione di genere, la pedofilia, il bullismo, il femminicidio, l’omofobia e transfobia, etc.);
Trovo bello che nel numero successivo l’assemblea sinodale sceglie di promuovere l’idea che la Chiesa, e la CEI in particolare, s’impegni anche nella società civile, a sostenere con la preghiera e la riflessione. È un obbligo nostro partecipare nella società civile, per essere parte di quella scelta di “contrastare ogni forma di violenza e manifestare prossimità verso chi è ferito e discriminato“. Mi sorprende, ma non troppo, che su questo ben 23% abbia votato contro. Segnalo il numero, perché significa che se c’è comunque un’ampia convergenza sul tema, serve continuare a lavorare, a sensibilizzare tanto sul tema.
L’attenzione per la dimensione affettiva
Il documento passa poi al numero 31, sembra parlando della cura delle relazioni, adesso focalizzando sull’attenzione per la dimensione affettiva, espressa così:
La questione affettiva e relazionale costituisce un ambito in cui vivere con pienezza il Vangelo. In questo senso la Chiesa riconosce «la vita quotidiana e le relazioni affettive come luoghi di scoperta e di esperienza del Vangelo» (SL, scheda 10e).
In due delle proposte, trovo il documento particolarmente lodevole.
[31b] che le Chiese locali, sostenute da una indicazione nazionale, con il contributo della pastorale giovanile e familiare, dei movimenti, associazioni, gruppi e realtà civili, avviino, almeno a livello interdiocesano o di regione ecclesiastica, équipe che valorizzino le buone prassi pastorali già in atto e che coordinino nuovi percorsi di formazione alle relazioni e alla corporeità-affettività-sessualità – anche tenendo conto dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere – soprattutto di preadolescenti, adolescenti e giovani e dei loro educatori;
Credo fermamente nel bisogno di “formazione alle relazioni e alla corporeità-affettività-sessualità“, e questo vale per tutti, irrispettivamente dall’orientamento sessuale ed identità di genere, ed irrispettivamente dalla propria vocazione nella Chiesa. (La vocazione al celibato ed il voto di castità — sia nella vita religiosa che nel clero diocesano — non ci esonera della dimensione della corporeità-affettività-sessualità nostra, anzi quasi-quasi la amplifica, e se non è ben integrata e vissuta, fa solo danno a noi ed quelli che ci stanno intorno!)
Il semplice inciso “anche tenendo conto dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere” mi lascia profondamente consolato. Finalmente! Sappiamo troppo quanto, se andava bene, era una tematica sussurrata, quasi fosse una parolaccia. (E quando andava male, se ne parlava, ma solo con parole di condanna e di esclusione totale). Sono convinto che abbiamo tanto da imparare, da scoprire, da lavorare affianco a quello che la scienza e la psicologia ci sta offrendo. Abbiamo anche tanto da imparare come Chiesa si ci mettessimo in ascolto della testimonianza di chi vive questo già nella Chiesa (“già appartengono alla comunità cristiana“), sia in relazioni serie, sia nella scelta del celibato.
[31c] che le Chiese locali vigilino e operino affinché nei vari contesti formativi (gruppi, associazioni, movimenti, nuove comunità, Seminari e percorsi di formazione religiosa) non avvengano forme di abuso psicologico, spirituale e di coscienza, anche nell’ambito dell’orientamento sessuale;
Anche questo mi lascia consolato. In un momento dove la chiesa cattolica statunitense sta difendendo ancora nel tribunale supremo le cosiddette terapie di conversione — che non hanno nulla di terapeutico, e neanche di conversione — è bello vedere che la Chiesa in Italia sia ad un altro passo. Anche se la proposta non nomina questo esplicitamente, e sicuramente ha una portata ben più ampia, includendo questa proposta qui nell’attenzione per la dimensione affettiva, ed esplicitamente dichiarando “anche nell’ambito dell’orientamento sessuale” offre una sensibilità particolare.
Qui sono profondamente convinto che i diversi aspetti devono sapersi intrecciare bene — quello psicologico e quello spirituale — e richiede perciò formatori, accompagnatori spirituali, ma anche psicologici professionisti, che sappiano lavorare insieme per il bene della persona. Perché una persona ben integrata — e questo vale per tutti — e quella più in pace, più felice, ed anche più capace di vivere la propria missione a servizio della Chiesa.
Per approfondire, dal sito della CEI:
